Attualmente sul lato Nord del cimitero, a mezza costa fra la strada e il Cornea, esistono i ruderi di un fabbricato adibito fino a pochi decenni fa alla macinazione del grano e del granturco. Per comodità e per una migliore comprensione questo manufatto lo chiamiamo Macina di Mezzo, nome utilizzato nel corso del Settecento. Nella concessione feudale del 1385 fatta al notaio Enrico de Ligorio viene assegnato un mulino affinché “in futuro possa a giusto titolo provvedere alle esigenzie, murito e fruttuoso per esso Domino Cardinale e per dicta Ecclesia Salernitana. Ti concediamo per il tuo buono animo in perpetuo dicto mulino e il feudo del fu Muli de Adelardo, de dicto Stato e casali Puliano”. In questa formula notarile di concessione feudale non è chiaro la condizione del fabbricato assegnato al notaio Enrico de Ligorio di Pugliano, ma si può ipotizzare che sia uno dei due mulini esistenti a fine Duecento o una nuova struttura. Il mulino viene denominato nel 1504 come “Feudo Macina dell’Acqua” e risulta venduto a un certo Yano Meo senza il consenso della Chiesa di Salerno. Nella postilla successiva il funzionario arcivescovile intima agli eredi di annullare la vendita, pena il pagamento di ben 24 once.
Lungo l’antico tratto viario che da S. Martino conduceva ad Olevano, nei pressi dell’attuale località Maccaronera fu costruito, probabilmente nel corso del XIII secolo o nei primi decenni del ‘300, un mulino da parte dell’Università di Montecorvino e da un consorzio di persone, ricevendo dall’Arcivescovo Feudatario il permesso di utilizzare l’acqua del fiume Cornea. Le vicende nefaste del ‘300 e la profonda crisi economica e demografica portarono alla fine di questa attività proto industriale e all’abbandono dell’edificio. Nel luglio del 1417, La Chiesa Maggiore di Salerno concede l’intero manufatto al “Magn. Pietro Laudisio di Pugliano con facoltà di ricostruirlo sia nelle sue parti strutturali sia nella sua viabilità. Il Laudisio riedificò l’edificio interamente, ripristinando il corso d’acqua per alimentare il mulino e lo spiazzo antistante, rendendo così più efficiente e comodo l’intero fabbricato. La concessione era vincolata dal pagamento di due oncie di libbra di cera lavorata ogni anno e al riconoscimento dei diritti sulle acque del Cornea da parte del detto magn. Pietro e dai suoi eredi. Per tutto il ‘400, i Laudisi curarono e mantennero in buono stato il predetto mulino, affidando la sua conduzione a persone capaci ed oneste, cosa che permise ai discendenti di Pietro di ricavare da questa attività ricchezza, potere e prestigio. Nell’inventario dei beni feudali della Chiesa Maggiore di Salerno del 1504 i “magistri Bartolomeo ed Angelo Laudisi di Montecorvino detengono il feudo del mulino, sito al luogo detto lo Ponte di S. Martino, pagando ogni anno alla Mensa Arcivescovile due libbre di cera lavorata”.
Lungo un vallone, che scende dal costone della Croce, ci sono i resti di una struttura turrita, a forma quadrangolare, posta su una ampia ansa formata dal fiume Cornea, alla base di una serie di terrazzamenti artificiali. Dai resti si nota un canale e una piccola struttura concava che serviva per raccogliere le acque ed alimentare le mole del mulino sottostante. La sua forma quadrangolare e lo sviluppo verticale del fabbricato, alto in origine circa otto metri, ci fa presuppore che il caseggiato sia stato costruito nell’ultimo quarto del XII secolo o nei primi decenni del ‘200 dalla Mensa Arcivescovile di Salerno, Signore del feudo di Montecorvino e proprietaria delle acque del fiume Cornea.
Nelle vicinanze di questo edificio, lungo il fiume e la strada pubblica, vi era una piccola terra, appartenente sempre alla Chiesa Salernitana, tenuta in affitto per diversi anni dal giudice “Masiunelli” Cenatempori di S. Martino. La morte del giudice e l’incapacità degli eredi nella gestione del feudo convinse l’arcivescovo Nicola, dopo una diligente indagine, a concedere al notaio Nicola de Giovannino, di “Campaczari”, abitante con molta probabilità, a Pugliano, il terreno con la facoltà di costruire in questo sito una struttura per macinare delle olive e mortelle e per “balcare panni lana”. Nel 1504 gli eredi del Notaio, “Hierardo e Michele de Johannino” possiedono ancora la macina costruita dal nonno, pagando le dovute libbra di cera e consegnando ogni anno uno sproviero alla Mensa di Salerno, quale segno di sudditanza agli Arcivescovi Feudatari.
Dalla documentazione analizzata, come si è visto, questi importanti impianti proto industriali sono appartenuti per tutto il Medioevo alla Mensa Arcivescovile di Salerno e alle famiglie De Ligorio, Laudisi e Giovannino, residenti a Pugliano, facoltose e importanti casate di origine vassallatica. Nel corso del ‘400 il costante e progressivo sviluppo socio economico e demografico e la continua richiesta di prodotti finiti convinse la Chiesa di Salerno e i vari proprietari delle dette strutture ad ampliare e migliorare gli impianti, costruendo, con molta probabilità nella località Chiararso una “apparata di fabbrica”, capace di fornire, mediante un lungo canale, un maggiore e più costante flusso di acqua.
fonte: montecorvinostoria.it
