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Torello nel Medioevo

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La parte Ovest del Locus Montecorvino, compresa fra i valloni Trauso e S. Maffeo, costituisce, per la presenza di diversi toponimi e la testimonianza di due documenti, il luogo più rappresentativo sulla tipologia degli insediamenti e sul livello sociale esistente in epoca longobarda nel Locus Montecorvino.
Nelle attuali località Piano del Torello e Campitiello la presenza di sorgenti di acqua, la fertilità del suolo e una conformazione orografica quasi piana, favorirono la formazione, probabilmente fra IX e X secolo, di una serie di insediamenti monocellulari denominati Corte Soprana, Corte Sottana, Curticella, Corte dei Santi e S. Bartolomeo. In particolari questi siti si addensavano all’interno di una area circoscritta dalle vie Torello-Piana, Castello-Piana e Torello-Pugliano. La presenza del toponimo pastino e il riferimento documentale di S. Biagio ci indicano chiaramente che queste curtis erano già esistenti alla fine del X secolo. L’assetto abitativo era costituito dai due poli accentrati intorno a Corte Soprana e Corte dei Santi e aveva nella chiesa di S. Bartolomeo il principale luogo di aggregazione religiosa per gli abitanti del casale.
 
Il villaggio delle Curtis, grazie alla presenza della Eingerkirchen di S. Bartolomeo, ebbe, con molta probabilità, un costante aumento di popolazione per tutto il periodo longobardo e nei successivi secoli XII e XIII, fino alla Guerra del Vespro. A partire dagli ultimi decenni del ‘200 con l’arrivo di abitanti dai casali limitrofi e per la posizione in pendio di Corte Soprana e del Campitiello, divenne il principale abitato del vecchio Locus di Montecorvino.
Nei decenni successivi e per tutto il Trecento, assistiamo a una contrazione della popolazione e un radicale stravolgimento della struttura insediativa. A subire maggiormente questo declino furono le curtis, in particolare quelle gravitanti intorno a S. Bartolomeo, e i terreni più lontani dal casale, che lasciati incolti subirono un progressivo avanzamento del selvatico. Infatti, nei fondi posti lungo il Trauso e nella parte bassa del Piano del Torello vengono sempre più documentati mortelleti, seude e una piccola foresta. Nella fascia pedemontana, invece, dove insisteva la Corte Soprana, vennero costruiti piccoli borghi murati, abitati da vassalli della chiesa.
 
La nascita di questa nuova articolazione insediativa e la formazione di un nuovo assetto di potere determinarono la sostituzione del vecchio nome del villaggio. A partire dalla seconda metà del Trecento, infatti, in riferimento ai nuovi abitati di pendio venne denominato con l’oronimo Torello. Il nuovo toponimo, derivante dal latino medievale torus, piccola collina, indicava la fascia collinare dove erano stati edificati gli insediamenti di Campitiello, Cappella e Casale Soprano.
 
fonte: montecorvinostoria.it

CONFRATERNITA SS. CORPO DI CRISTO E ROSARIO

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Cenni storici sulla Confraternita Le Confraternite sono associazioni cristiane fondate con lo scopo di suscitare l’aggregazione tra i fedeli, di esercitare opere di pietà e di carità e di incrementare il culto. Sono costituite canonicamente in una Chiesa con un decreto dell’Autorità Ecclesiastica.

I componenti conservano lo stato laicale e rimangono nella vita secolare. Sorsero e si affermarono per fornire una pubblica assistenza in soccorso dei ceti sociali più disagiati e sentivano impellente il bisogno di ben operare per amore e timore di Dio, per cui si associarono per aiutarsi reciprocamente. Le Confraternite si assunsero anche altri numerosi compiti sociali oltre l’assistenza ai poveri, agli orfani, agli ammalati, alle giovani a rischio,esse, forti finanziariamente per lasciti e donazioni e contribuzione dei confratelli, poterono fondare ospizi per poveri e pellegrini, chiese, oratori, monumenti, istruzione religiosa e gestione dei luoghi di sepoltura. Diedero grande impulso alle arti, alla musica, al canto liturgico ed erano particolarmente assidue alle sacre rappresentazioni, indirizzate principalmente alla morte e passione di Cristo ed alla sua SS. Madre, la Madonna ( di qui i numerosi nomi : SS. Sacramento, Corpo di Cristo,SS. Rosario, SS. Addolorata, ecc….) , non mancarono anche Confraternite dedicate a Santi ( San Rocco S. Filippo Neri, S. Sofia, S. Rosalia, ecc….) A Montecorvino, nel XVI secolo, erano attive circa 15 Confraternite e la loro sussistenza era direttamente collegata con le vicende della famiglia o famiglie nobiliari di appartenenza.

Il declino di queste ultime comportò, già alla fine del XVIII secolo, la scomparsa di almeno la metà dei sodalizi di appartenenza. Rimasero in vita le Confraternite più forti, sia economicamente che socialmente e quattro di esse ancora oggi seminano i loro buoni frutti di speranza e di apostolato.

Presso l’Archivio di Stato di Napoli da un documento datato 12 marzo 1888, si rileva che esistevano intorno alla metà del 1500, due Confraternite in Sant’Eustachio, rispettivamente del SS. Sacramento e SS. Rosario, di natura laicale. Dal testamento di Romano Rubino del 27 maggio 1554, del casale Cornea, (Notaio Felice D’Alessio 1553/1580 – fasc. 3250/3255) si legge che lo stesso in letto giacente ed in corpore languente, raccomanda ai figli di dare alla Confraternita del SS. Sacramento di S. Eustachio, di cui è fratello, della cera e delle candele ed 1 carlino, mentre a lui si deve l’estrema unzione, il patenaggio, la sepoltura e la messa. Da una bolla del Vescovo di Acerno del 6 ottobre 1591, risulta riconosciuta nella stessa località un’altra Confraternita sotto il titolo del SS. Corpo di Cristo sin dal 9 maggio 1559.

Le due confraternite operavano su un territorio composto da tre frazioni ( Molenadi, Cornea e Ferrari ) con una popolazione di circa 1200 abitanti e seppure operassero su binari paralleli e con il controllo della stessa autorità religiosa, avevano ingaggiato sotto sotto una sana competizione per l’accaparramento degli iscritti, e su questo influiva l’importanza della o delle famiglie dominanti, il lustro ed il decoro dei personaggi più rappresentativi, lo sfarzo delle cerimonie religiose, l’autodisciplina e la presenza assidua nei momenti liturgici forti. Quindi, da quanto sopra esposto, originariamente le Confraternite in Sant’Eustachio erano due e soltanto da un decreto emesso dal Regio Tribunale Misto del 3 luglio 1766, troviamo le due Confraternite unite con una diversa denominazione che è quella attuale: Corpo di Cristo e SS. Rosario.

Le motivazioni della fusione vanno ricercate nel particolare periodo storico che favoriva l’emigrazione di molte famiglie dominanti nella Capitale del Regno ( Napoli ) e fece seguito l’inevitabile sbandamento dei fratelli iscritti che, addirittura, nel 1774, per mancanza di essi, ne determinarono la soppressione. Fu l’ostinata energia del Priore dell’epoca Nunziante De Filitto che mantenne in vita giuridicamente la Confraternita tra mille sacrifici anche nel periodo delle leggi eversive del 1806 ed essa sopravvisse con alterne vicende e con un sempre fluttuante numero di iscritti che non fu mai stabile e costante. Il 29 maggio 1881, grazie all’impegno di due illustri concittadini, il prof. Giuseppe Avallone ed il Parroco Raffaele Nicastro, le funzioni ripresero in pieno e il 4 settembre dello stesso anno venne approvato lo Statuto, integrato da un’altra delibera del 1930. Sin da allora, nonostante le avversità del II conflitto mondiale e la difficile ripresa economica, la Confraternita ha avuto una costante continuità, diretta amorevolmente con competenza e saggezza da tutte le amministrazioni citate nella pubblicazione del 1992 che saranno integrate prossimamente e di cui faremo veloce cenno dei soli priori. Ogni fratello meriterebbe una citazione a parte per il proprio operato effettuato con impegno e grande abnegazione, ma sarebbe un’impresa molto ardua.

Ci limitiamo anche per particolare volere dell’attuale amministrazione ad onorare la memoria di chi ci ha lasciato e di chi si è tanto distinto per il prestigio e il decoro del sodalizio. Dal 1 luglio 1980 la Confraternita si riunisce in una propria sede ubicata a sinistra della Chiesa nella bella piazzetta di Sant’Eustachio.

 

 

Chiesa di S. Maria Assunta di Occiano

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La chiesa dell’Assunta è a tre navate, grande abbastanza per soddisfare i bisogni della popolazione. Nei primi decenni del Settecento nelle navate laterali sono eretti quattro altari di juspadronato con diritto di sepoltura: sul lato sinistro, l’altare detto della Epifania a devozione di don Paolo de Giorgio e quello di San Gennaro e San Nicola del Rev. D. Nicola de Giorgio, sul lato destro, l’altare dedicato all’Immacolata Concezione per conto di don Francesco D’Aiutolo e l’altare della SS. Trinità di don Donato Alfonso de Giorgio. Sull’altare maggiore è eretta la Confraternita del SS. Rosario.
 
Alla fine del 1700 la chiesa, malridotta anche nella stessa struttura è interdetta da monsignor Pignatelli. Le funzioni vengono spostate nella chiesa di Santa Maria delle Grazie e poi in quella di Santa Maria dell’Avvocata, sita alla Canala. Per ovviare a questa incresciosa situazione il parroco e i fedeli si attivano per ripristinare l’edificio. Il parroco dichiara che “colla mia fatiga e dispendio dei figliani e della Confraternita si fece de novo il Cappellone del SS. Sacramento con relativo stucco ed altro. Con decreto di Monsignore fu ordinato il ripristino delle celebrazioni sacre e la presenza de novo del SS. Sacramento.
Nel 1790 si fece la statua della Beata Vergine con vestito e corona d’argento, fatta con elemosina di questi figliani e del Marchese Genovese incombenzato per perfezionare la Statua.
 
Nell’anno 1804 si fece la regiolata per elemosina fatta dai fedeli e dalla cerca nella Piana di Montecorvino. Nel 1808 si è fatta la lamia finta uniforme a quella del Cappellone dai Mastri Antonio e Michele Conforto per ducati cento, modernati gli altari dai padroni e comprata la campana. In detta chiesa è incorporato l’antico atrio e rifatta de novo la porta con la mascatura, comprata la sfera, l’ombrella e baldacchino con cappottella”.
Durante l’800, la chiesa riceve le continue cure dei parroci e dei fedeli, con piccoli restauri e la compera di paramenti sacri e di un organo “ad orchestra e intavolato”.
Nel 1914 il soffitto viene abbellito con l’immagine della Vergine, dipinta dal pittore montecorvinese Domenico Rossomando.
 
Estratto da S. Paraggio, Fonti per i recupero della memoria storica, Eboli gennaio 2000.
 
 
 

Palazzo Provenza di Votraci

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La famiglia Provenza, di origine francese, è attestata a Montecorvino nella seconda metà del XV secolo. Nei primi decenni del ‘500, Sebastiano, ricco agricoltore e agiato proprietario terriero, fonda nella chiesa di S. Pietro una cappella dedicata alla Maddalena. Intorno alla metà del secolo, vanno annoverati il magistro Antonio, economo e magistro della Confraternita del Sacramento di S. Pietro e il nobile Luca, proprietario di vari oliveti e di una macina olearia, posta al di sotto delle proprie case.
 
Vespasiano, ricco pastore e commerciante di lana, possiede in comune con Orazio Ferraro duecento pecore, una casa consistente in “cinque membri”, un castagneto e un oliveto per un valore complessivo di duc. 822.
 
Paolantonio, vissuto nella seconda metà del secolo, sposa Antonia Maurello, ricca erede di una prestigiosa e antica famiglia di S. Martino. In possesso di diversi oliveti e di un terzo della macina olearia in comune con gli eredi di Luca Provenza, cura personalmente il frantoio mediante due suoi operai: “Polidoro Guglielmotta e Tonio de Amgiero”.
 
L’attuale Oratorio di S. Bernardino, fondato sulle case e la macina di Luca e Paolantonio Provenza, apparteneva nei primi decenni del ‘700 ai coniugi Antonio e Vittoria Provenza, eredi rispettivamente da Luca e Paolantonio. La nuova famiglia, grazie a un consistente fondo dotale di d. Vittoria e una discreta disponibilità economica di Antonio riesce nello spazio di un trentennio ad aumentare ulteriormente il proprio patrimonio terriero, divenendo a metà secolo una delle casate più ricche ed importanti di Montecorvino. I due coniugi per soddisfare le aumentate esigenze della loro numerosa famiglia e per ribadire il nuovo status sociale apportano alle case di residenza varie modifiche, costruendo ex novo una scala interna e un portale di ingresso datato 1744.
 
Il palazzo fu ereditato da d. Isidoro, figlio di Giuseppe e nipote di d. Antonio e D. Vittoria, e poi dal figlio Gerardo, il quale negli anni ’20 o ’30 del XIX secolo per rinverdire i fasti dei suoi antenati e per suggellare il matrimonio con la nobildonna d. Bonaventura Bassi di Giffoni apportò ulteriori modifiche al costruito esistente, ponendo sopra la facciata di ingresso lo stemma composto delle due famiglie: Provenza-Basso.
 
Blasonatura Stemma
Scudo Composto
A sinistra famiglia Provenza, per chi guarda. Stemma senza notizia sugli smalti.
Al leone rampante impugnante nella sua branca destra una spada con punta all’insù, posta in palo, sormontato in capo da tre stelle di otto raggi male ordinate, con la fascia cucita sul tutto.
 
A destra la famiglia Bassi, per chi guarda. Stemma senza notizie sugli smalti.
Al leone rampante appoggiato con la branca sinistra ad una colonna spezzata posta in palo, e tenente colla branca destra un ramo di palma movente da un mare ondeggiante con i capo una stella di otto raggi.
 
Blasonatura a cura di Narciso D’Alessio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

La chiesa di S. Sofia di Gauro

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La cappella fu costruita probabilmente a fine ‘400 dalla Confraternita omonima. Il primo documento che testimonia l’esistenza della sodalizio risale al 1525 e riguarda un lascito di 6 ducati alla confraternita e alla cappella dei Laudiso. S. Sofia rappresenta il primo esempio nella Diocesi di Acerno di una cappella sede di confraternita costruita all’esterno della parrocchiale: questo è indice di una buona condizione economica dell’associazione.
 
Nella cappella si svolgevano tutte le attività della congregazione, dalle messe di suffragio alle riunioni dei confratelli, i quali venivano sepolti nella fossa ubicata al suo interno qualora il defunto non avesse una sepoltura privata nella parrocchiale. Infatti, nel 1544, un vecchio “mastro”, Paolo Perillo, pur lasciando alcuni ducati al sodalizio, pretese che i confratelli lo accompagnassero nella sua cappella del SS. Salvatore ubicata nella chiesa di S. Andrea. L’istituzione delle nuove confraternite del Sacramento e del Rosario nel corso del ‘500, determinò l’impoverimento delle offerte, che, unitamente al numero esiguo degli iscritti, costringeva gli amministratori di volta in volta ad unirsi o a separarsi con gli altri due sodalizi. Questo periodo di transizione durò circa un cinquantennio, fino alla definitiva unione delle tre confraternite avvenuta nel 1636.
 
Nella seconda metà del ‘600 con la crisi demografica ed economica seguita alla peste del 1656 si ebbe una decadenza del sodalizio, tanto che nel 1692 Mons. Sifola trovando il fabbricato diruto e mancante del necessario lo interdice). Durante il secolo successivo, la ripresa socio-economica consentì la rinascita della confraternita e il rifacimento dell’edificio. Il consolidamento del sodalizio fu sancito dalle nuove regole stilate nel 1739, nelle quali tra l’altro si obbligavano i confratelli a “confessarsi e comunicarsi ogni prima Domenica di mese, nelle feste della Beata Vergine e delli Santi Apostoli, con condizione però che si possa confessare dove li pare, ma che si debbano comunicare nella Congregazione per dare il buono esempio ad ogn’uno”. Nel 1745 Mons. Lorenzi durante la sua visita pastorale interdisse la Collegiata di S. Andrea, costringendo i canonici per circa un anno a celebrare tutti gli uffici divini nella cappella di S. Sofia. Rimossi i motivi dell’interdizione S. Sofia ritornò a ricoprire il ruolo che aveva in precedenza, cioè sede della confraternita e luogo dove venivano celebrati gli uffici e le messe di suffragio per i confratelli.
 
Estratto da A. D’Arminio – V. Cardine – L. Scarpiello, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, p. 123
 
 
 
 

Chiesa Santa Sofia GAURO
Chiesa Santa Sofia GAURO

CHIESA SAN FILIPPO NERI – ( Fraz. San Martino)

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San Filippo Neri può essere considerato il vero protagonista della sua epoca, a lui deve molto la storia della spiritualità.
 
Giovanni Paolo II disse nel 1979 : ” A lui ricorsero papi e cardinali, vescovi e sacerdoti, principi e politici, religiosi ed artisti.- Quella piccola povera stanza del suo appartamento, fu meta di una moltitudine immensa di umili persone del popolo, di sofferenti, di diseredati, di emarginati dalla società, di giovani, di fanciulli che accorrevano a lui per avere consiglio, perdono, pace, incoraggiamento, aiuto materiale e spirituale.”
L’attività benefica di San Filippo fu tanta e tale che la magistratura romana decretò di donare ogni anno un calice alla sua Chiesa nel giorno dell’anniversario della sua morte, come segno di venerazione e di riconoscenza.
 
Nel Rinascimento italiano è passata un’epoca luminosa e tremenda insieme, ma non sono venuti meno, nei giovani e meno giovani, l’ansia di verità ed il bisogno di affetto a cui Filippo seppe dare una riposta semplice e genuina, che i contemporanei ebbero la fortuna di apprezzare e di accogliere con entusiasmo.
L’uomo che sarebbe stato chiamato ” l’apostolo di Roma” nacque a Firenze il 21 luglio 1515, alle due del mattino, da Francesco e da Lucrezia Soldi da Mosciano, nel popolo di S. Pier Gattolino sulla via romana. Il giorno dopo fu battezzato nel battistero di S. Giovanni . Nel 1520 morì la madre e poco dopo suo padre si risposò con Alessandra di Michele Lensi, successivamente, si sposerà ancora.
 
Nel 1524 il papà di Filippo venne immatricolato tra i notai fiorentini e il piccolo futuro Santo potè ricevere una buona istruzione e fece pratica della professione del padre.
Aveva subito l’influenza dei domenicani di S. Marco ( dove Savonarola, finito sul rogo per eresia nel 1498, era stato frate molto tempo prima ) ed anche dei padri benedettini di Montecassino, per cui nel 1533, a 18 anni, lasciò la casa del padre e si recò presso lo zio Romolo Neri a S. Germano (Cassino). Lì si trattenne per un periodo imprecisato e poi si recò a Roma prendendo alloggio presso Galeotto del Caccia ,di cui educò due figli facendone il precettore.
 
Quando saranno grandi questi due ragazzi, il primo, Michele ,diventerà prete e rettore di S. Donato in Citille presso Firenze ed il secondo, Ippolito, diventerà cistercense con il nome di Don Andrea.
 
A quel tempo la città di Roma era in stato di grande corruzione e Filippo, dopo aver rifiutato l’invito a far parte della Compagnia di Gesù, nonostante avesse incontrato Sant’Ignazio di Loyola e San Francesco Saverio, si iscrisse in una confraternita di ” spirituali ” presso S. Girolamo della Carità e nella Compagnia di S. Giacomo in Augusta operante nell’antica società del Divino Amore, per l’assistenza agli ammalati di quell’ospedale, già ” degli incurabili “.
L’occupazione principale di ” Pippo Buono ” era il lavoro tra i giovani, sopra la Chiesa di S. Girolamo, dove viveva, fece costruire un oratorio in cui si tenevano conferenze religiose e si organizzavano iniziative per il soccorso dei malati e dei bisognosi. Inoltre, nello stesso luogo, furono celebrate per la prima volta funzioni consistenti in composizioni musicali su temi biblici e religiosi cantate da solisti e da un coro.
L’oratorio è la proiezione viva della personalità di San Filippo, quasi una sua mirabile incarnazione e si può intendere come la Summa della Spiritualità Filippina: è la Casa di preghiera.
 
Altra genialità del Neri fu “l’Oratorio Musicale ” di cui ne è storicamente l’animatore. Con questa forma Egli parla un linguaggio semplice, immediato e convincente. Per questa realizzazione, si servì dei migliori musicisti dell’epoca, tra i quali, l’Animuccia, il Palestrina, l’Ancina, il Soto, il Sorelli, ed a Firenze ,il Razzi.
Nel giorno di Pentecoste del 1544 ,trovandosi nella catacombe di San Sebastiano, visse una profonda esperienza mistica che gli lasciò tracce anche sul corpo.
 
Filippo cominciò a lavorare fra i giovani della città e nel 1548, in collaborazione con Rosa Persiano, istituì la Confraternita della Santissima Trinità dei pellegrini e dei convalescenti. Le molte adesioni di laici contribuirono alla nascita del grande ospizio della Trinità.
Nel mese di marzo del 1551 ricevette la tonsura, i quattro ordini minori ed il suddiaconato nella Chiesa di S. Tommaso al Parione ; il sabato santo dello stesso anno il diaconato nella Chiesa di S. Giovanni in Laterano ed il 23 maggio, infine, l’ordinazione sacerdotale nella già citata Chiesa di S. Tommaso.
 
Ripristinò la ” visita alle sette Chiese “, l’itinerario comprendeva la Basiliche di S. Pietro, S. Paolo, San Lorenzo, S. Maria Maggiore, San Giovanni, San Sebastiano e Santa Croce. Quando celebrava la messa in Santa Maria in Vallicella, andava in estasi sollevandosi da terra e da lì il corteo, dopo aver ascoltato brevi meditazioni sulla Passione di Cristo, partiva con uno stendardo ed una croce, portata da frati cappuccini, verso le Chiese prescritte.
Nel 1588 Filippo rimase stabilmente alla Vallicella.
Paolo IV, nel 1588, le aveva assegnato come propria sede, la chiesa di San Benedetto, ma nel 1590 ne venne costruita una nuova dedicata alla Santissima Trinità.
 
Filippo non sfuggì alle critiche ed all’opposizione; alcuni erano scandalizzati dall’anticonvenzionalità dei suoi discorsi, delle sue azioni e dei suoi metodi missionari.
Egli voleva restituire salute e vigore alla vita dei cristiani romani in modo tranquillo, non aveva una mentalità clericale e pensava che il sentiero della perfezione fosse aperto tanto ai laici quanto al clero, ai monaci ed alle monache. Nelle sue prediche insisteva più sull’amore e sull’integrità spirituale che sulle austerità fisiche, e le virtù che risplendevano in lui venivano trasmesse agli altri : amore per Dio e per l’uomo ,umiltà e senso delle proporzioni. Gentilezza e gaiezza, “riso ” era una parola usata molto spesso dal Santo.
 
Il 26 maggio 1595, spirò santamente.
Il 25 maggio 1615 fu beatificato e, il 12 marzo 1622,fu canonizzato. Roma lo riconosce come suo protettore principale e, ogni anno, in ricorrenza della sua morte tranne il periodo dal 1871 al 1924, l’amministrazione capitolina offre un calice votivo che viene deposto sul suo altare alla Vallicella. In quell’occasione vengono riaperti ai fedeli i luoghi della vita e del mistero di San Filippo ; per i giovani e per i ragazzi vengono organizzati giochi ed incontri e, tra l’altro, ad ognuno dei partecipanti viene offerto un sacchettino di caramelle in ricordo della ” dolcezza ” del Santo.
 
Invocato come protettore dei terremoti, per volere di Papa Benedetto XIII che beneficiò di questa sua particolare protezione in due occasioni, San Filippo Neri è anche Patrono della Gioventù e Compatrono dell’Azione Cattolica.
Nel Martirologio Romano, a pag.127. alla data del 26 maggio, così viene ricordato: “A Roma, San Filippo Neri, prete e confessore, fondatore della Congregazione dell’Oratorio, e insigne per la verginità, per il dono della profezia e per i miracoli.”
 
L’8 giugno 1640 è una data molto importante per la Chiesa di San Michele nella frazione San Martino, fu ampliata , ristrutturata e fu dedicata a San Filippo Neri. In essa vi furono custodite alcune reliquie di questo grande Santo vissuto tra il 1515 ed il 1595 e canonizzato nel 1622.
Nella frazione San Martino che così si arricchì di notevole prestigio, il Santo operò numerosi miracoli debitamente documentati con atto notarile.
La Chiesa, danneggiata dal sisma del 1980 è stata riaperta al pubblico il 1 maggio 2012 con la gioia di tutti i fedeli che hanno contribuito notevolmente a tale evento.
 
Nunzio Di Rienzo