L’incontro – Luglio/Agosto 2010
L’incotrno
La grotta del Diavolo
Tradizioni e racconti montecorvinesi
Da ragazzo ricordo che si raccontavano in Montecorvino Rovella molte storie e storielle, spesso partorite dalla geniale fantasia di scrittori e di narratori che colorivano gli episodi sino a raggiungere il limite della credibilità, proiettandole in una immancabile atmosfera di magia e di fiaba.
Spinto dal mio carattere critico e dalla mia curiosità congenita, ho sempre cercato di risalire alle fonti di queste storie e dove queste non era possibile rinvenire alcuna documentazione, ricorrevo alla tradizione orale. In pantaloncini corti e con un miniquadernetto che conservo ancora gelosamente, ho intervistato almeno una cinquantina di vecchietti, purtroppo tutti scomparsi da diversi anni, che comunque con la loro testimonianza mi hanno consentito di raccogliere tanto materiale che ho pubblicato nei miei libri a beneficio delle future generazioni.
Passo ad elencarne alcune tra le più note, riservandomi un discorso a parte per una in particolare che più mi colpì in quella tenera età e che mi ha fatto trascorrere diverse notti sepolto tra le coperte ed il cuscino e che trascrivo per prima.
IL TESORO DELLA GROTTA DEL DIAVOLO SUL CASTELLO NEBULANO E LA SONNAMBULA DI MONTECORVINO
Seguiranno in questa rubrica, con cadenza periodica:
– La filastrocca dei dodici mesi, che ci viene tramandata dal XVI secolo
– La leggenda degli Arminio e dei Damolidei, una colorita storia d’amore della fine del 500
– La processione degli usurai di Pompeo D’Aiutolo, composta nella prima parte del 1800
– I cinque ritti, dello stesso autore, composti tra il 1700 ed inizio 1800
– Molte filastrocche popolari recitate da ragazzi mentre si gioca.
Il celebre romanzo “La Sonnambula di Montecorvino “ composto da Francesco Mastriani, ( 1819 – 1891 ) ,celebre scrittore napoletano, che fu ospite della famiglia Maiorini, nel Palazzo in Via Clelia, ora Via Diaz, tra l’ottobre del 1877 e gli inizi del 1878 per circa sette mesi.
Il Mastriani, seppure, come sopra riferito, fosse celebre perché già autore di numerosi romanzi di successo specialmente a Napoli, versava in condizioni economiche disagiate e l’ospitalità generosa dei Maiorini lo indusse a scrivere un romanzo ambientato in Montecorvino Rovella sul Castello Nebulano nel primo decennio del 1800, quando questo era già un ammasso di rovine da circa tre secoli in un deprecabile stato di abbandono.
Sempre il Mastriani, dotato di una genialità non comune, girando per Montecorvino, si informava su nomi e su possibili leggende che tradusse in racconto incastrandolo in un romanzo incompiuto di vita napoletana. ( Chi l’ha letto o ha visto la rappresentazione teatrale dei POPOLANI, può capire il riferimento).
Il romanzo fu stampato nella prima versione a Napoli e poi a Montecorvino dalla Tipografia L’Unione che aveva la Sede in Via Silvestro Bassi e non ebbe larga diffusione a causa dell’analfabetismo dilagante, tanto che diversi maestri elementari facevano dei veri e propri cenacoli serali con i contadini che tornavano dai campi, per raccontare il romanzo e con l’inevitabile aggiunta di molte coloriture.
Il contadino, tornato a casa, dopo aver cenato e recitato il Rosario, riuniva la famiglia intorno al focolare ed iniziava anche lui il racconto, aggiungendo inevitabilmente altri particolari, ai propri familiari che rimanevano incantati ed immaginavano per personaggi reali e realmente vissuti quelli inventati di sana pianta dal Mastriani e questa storia passò per vera. Posso garantire che in pieno duemila qualcuno cercava e cerca ancora, non i vari libri in circolazione, ma “ la vera storia di Montecorvino” che sarebbe “ la Sonnambula di Montecorvino”.
C’è da aggiungere che la trama non era poi una sola. Essa variava a seconda della memoria del narratore e dallo stato fisico e mentale in cui si trovava al momento a seconda della quantità di vino bevuta.
Nel 2007,la Compagnia Teatrale“ I Popolani “, rappresentò il romanzo da me completamente reiscritto in versione teatrale
Un episodio comico : .In tale occasione, alla fine dello spettacolo si presentò una persona anziana molto nota che mi disse che era un parente del Conte Baldassarre di San Pietro, principale figura del libro ( ? ).
E veniamo alla leggenda che colpì in particolare la mia mente di ragazzo semplice e genuino.
ANTEFATTO = Chi si reca oggi a visitare le poche rovine rimaste in piedi del Castello Nebulano, dal lato ovest, provenienti dalla frazione Occiano, si osservano le mura a ridosso di un fossato e, al termine di questo, una piccola porta di accesso che conduce all’interno del Castello. Dopo circa tre o quattro metri, si incontra un “ buco “ della dimensione di circa tre metri di circonferenza, profondo quasi quattro metri , pareti di roccia, dell’estensione di una piccola stanza di tre metri per due. Sicuramente adibito anticamente a raccolta delle acque piovane a causa dell’assenza di sorgenti sul Monte Nebulano ( L’approvvigionamento ai castellani avveniva con barilotti a dorso di mulo provenienti da Occiano ). Questo “ buco “ ,proprio grazie a questa leggenda, assumerà, per i posteri, il nome di “ Grotta del Diavolo “.
PREMESSA = Come nasce la leggenda che vi racconterò ? La prima generazione dei narratori della Sonnambula, agli inizi del 1900 era quasi scomparsa, i racconti provenivano dai figli che avevano ascoltato. I tempi erano brutti. Guerre, turbolenze di vario genere, non incentivavano la cultura che restava patrimonio di pochi. E quindi nascono leggende intorno alla leggenda colorando di più il mistero e la soggezione.
IL RACCONTO
Il Conte Pietro di Baldassarre di San Pietro, principale figura del romanzo della Sonnambula, secondo la fantasia di Mastriani, decedeva la sera del 9 febbraio 1810, alle ore 22, all’età di 84 anni e “alquanti mesi “. Sempre secondo la fantasia del Mastriani, lasciò in eredità tutti i suoi possedimenti di terre ed ogni altro ben di Dio al giovane Gottardo ( ? ) ed ad altri suoi conoscenti.
Cosa avevano ancora da raccontare gli anziani del tempo che non erano partiti per le armi e che avevano sentito il racconto almeno un centinaio volte ? La fine che avrebbe fatto il tesoro del Conte nascosto nel Castello.
Questo affascinante racconto l’ho appreso nel 1958 nella frazione Cornea davanti ad un allettante focolare ed a un invitante tegamino pieno di “ scopparielli “( moderni pop corn).
“Il buon Gottardo, erede del Conte, aveva lasciato la coltura delle terre a contadini del luogo. Uno di questi, il cui nome non ci è stato tramandato, pascolava sulla zona del Monte Nebulano nelle adiacenze del Castello, sollecitato dalle dicerie di un tesoro del Conte mai trovato.
Addormentatosi nella sua piccola capanna, circondato dagli armenti, fece un sogno che gli fu di particolare turbamento.
Una voce, cavernosa, terribile,ed una visione altrettanto terribile, gli annunciava che se si fosse recato a mezzanotte precisa, nella “ Buca del Castello” , avrebbe trovato il “ tesoro del Conte “, però ad un patto ben preciso : Non avrebbe dovuto mai, dico mai, pronunciare il nome della Madonna o di Gesù o di qualche altra cosa di sacro, nel momento del rinvenimento.
Il pastore si destò bruscamente. Tutto sudato e pieno di spavento si agitava tra le pecore ed i cani trasmettendo anche a loro molta inquietudine.
Il giorno dopo, con la luce del sole, acquisì sufficiente calma e coraggio e decise che quella notte sarebbe sceso nel “ buco “.
A mezzanotte precisa , munita di piccone, scese nel buco e cominciò a scavare a destra e a manca. Dopo diverso tempo, sentito un rumore metallico, si affrettò a tirar fuori quello che sembrava uno scrigno. Lo aprì . Alla vista di tante monete d’oro gli sfuggì una frase pericolosa. “ Madonna mia bella ! “. Immediatamente le monete si trasformarono in serpenti minacciosi che lo inseguirono fino all’uscita.
Il racconto finisce qui, ma bastò per far denominare il posto “ Grotta del Diavolo “.
A beneficio di chi legge dirò che ci sono sceso con gli Scout negli anni settanta con molto timore.
© NUNZIO DI RIENZO per Montecorvino.it
Carnevale Popolare Montecorvinese
CARNEVALE POPOLARE MONTECORVINESE |
Intorno alla fine del sec .XVII e gli inizi del sec. XVIII, i carbonai, nostri concittadini che si dedicavano alla produzione del carbone e della carbonella, si recavano sui monti, in special modo tra Acerno, Montella e l’Acellica, sia per il lavoro sia per il pascolo dei propri armenti. Essi trascorrevano sui monti la maggior parte dell’anno e rientravano solo per pochi giorni,nei propri paesi, in particolari circostanze e ricorrenze, per provvedere ad arricchire le varie provviste con altri alimenti al di là dell’immancabile formaggio, ricotta, vino e grandi” panelle “che duravano per lungo tempo sino a diventare dei mattoni che venivano ridotti a piccoli pezzi per essere edibili. Questi abili esperti dell’arte montanara composta da montecorvinesi ed olevanesi, volontariamente o involontariamente, rafforzarono il loro ingegno e diedero vita alle prime forme di teatro errante per divertirsi e divertire la gente. Nacque la “ filastrocca dei poveri” meglio conosciuta come la “ filastrocca dei dodici mesi” che a Carnevale ( periodo scelto per la discesa dai monti) veniva e viene recitata in tutte le piazze e piazzette sia a Montecorvino Rovella che a Olevano Sul Tusciano. Quel che rende più preziosa questa filastrocca e’ l’assenza di documentazione. Essa è stata tramandata nel tempo da padre in figlio in forma orale ed è arrivata sino a noi completa nella sua vera e genuina espressione dialettale del tempo. Tredici pastori a cavallo di tredici muli iniziavano il loro percorso scendendo dai monti. Si levavano molto presto dopo aver provveduto agli armenti ed alla loro custodia, e scendevano a Montecorvino lungo un tratturo che dai monti di Acerno portava a ridosso del costone della frazio ![]() Dopo la declamazione che di solito era confortata dalla presenza dei “ signori” affacciati a finestre, balconi o terrazze, e molta parte di popolo, la servitù ,opportunamente istruita, scendeva fra la gente presente e dispensava vino ed ogni ben di Dio ; agli attori, invece, danaro, vino e altre cibarie a parte, che venivano riposte in grandi bisacce situate ai lati dei muli. La scena si ripeteva numerose volte ( minimo 23, quanti erano i casali) e ciascuna famiglia nobile, dominante il casale, faceva a gara con le altre dei “ casali concorrenti” per elargire di più e per essere meglio esaltata e lodata nella generosità dei doni. Lascio immaginare quale era lo stato fisico della comitiva alla fine della giornata e come fosse precario il ritorno sui monti. I muli ultracarichi di roba, gli attori ultrapieni di vino e cibarie, gli altri accompagnatori insonnoliti e stanchi. I buoni animali conoscevano la strada del ritorno ed il rientro avveniva quasi sempre senza incidenti, ad eccezione di immancabili fermate per motivi fisiologici. La filastrocca che è pervenuta sino a noi è un misto farraginoso di dialetto antico, dialetto moderno e qualche strofa in italiano ( segno di modifica nel tempo nella tradizione orale). Qualche abbozzo di rima e con una scurrilità classica dei carbonai montanari. ED ECCO LA FILASTROCCA COME OGGI (2013) VIENE RICORDATA: Io sono il padre di dodici figli Io so gennaio, primo dei mesi e primo dell’anno Io so febbraio, ca la freva stengu Io so marzo, arrassusia, songu peggiu de frevaru Io sono aprile, di bello aspetto
Io so maggio, maggior di tutti gli alimenti Io so giugno, cu la mia serrecchia Io sò luglio, cu lu carru ruttu Io sono agosto con le mie malattie Io so settembre cu la fica moscia Io so ottobre cu la mia scalella Io so novembre, capo seminatore Io so dicembre, ultimo dei mesi e ultimo dell’anno
Sento il dovere di esprimere , come cittadino, come ricercatore storico e come anche attivo partecipante alla manifestazione diverse volte, il più vivo ringraziamento all’Associazione di Sant’Eustachio per aver rappresentato per tanti anni questa tradizione che ci fa rivivere lo spirito allegro e genuino dei nostri antenati. P.S. = Se qualche lettore ha bisogno della traduzione della filastrocca può rivolgersi al sottoscritto tramite il sito presente:
Buon divertimento !
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© NUNZIO DI RIENZO per Montecorvino.it |
Le confraternite
CENNI STORICI
Le Confraternite sono associazioni cristiane fondate con lo scopo di suscitare l’aggregazione tra i fedeli, di esercitare opere di pietà e di carità e di incrementare il culto. Sono costituite canonicamente in una Chiesa con un decreto dell’Autorità Ecclesiastica. I componenti conservano lo stato laicale e rimangono nella vita secolare.
Sorsero e si affermarono per fornire una pubblica assistenza in soccorso dei ceti sociali più disagiati e sentivano impellente il bisogno di ben operare per amore e timore di Dio, per cui si associarono per aiutarsi reciprocamente.
Le Confraternite si assunsero anche altri numerosi compiti sociali oltre l’assistenza ai poveri, agli orfani, agli ammalati, alle giovani a rischio,esse, forti finanziariamente per lasciti e donazioni e contribuzione dei confratelli, poterono fondare ospizi per poveri e pellegrini, chiese, oratori, monumenti, istruzione religiosa e gestione dei luoghi di sepoltura.
Diedero grande impulso alle arti, alla musica, al canto liturgico ed erano particolarmente assidue alle sacre rappresentazioni, indirizzate principalmente alla morte e passione di Cristo ed alla sua SS. Madre, la Madonna ( di qui i numerosi nomi : SS. Sacramento, Corpo di Cristo,SS. Rosario, SS. Addolorata, ecc….) , non mancarono anche Confraternite dedicate a Santi ( San Rocco S. Filippo Neri, S. Sofia, S. Rosalia, ecc….)
A Montecorvino, nel XVI secolo, erano attive circa 15 Confraternite e la loro sussistenza era direttamente collegata con le vicende della famiglia o famiglie nobiliari di appartenenza. Il declino di queste ultime comportò, già alla fine del XVIII secolo, la scomparsa di almeno la metà dei sodalizi di appartenenza. Rimasero in vita le Confraternite più forti, sia economicamente che socialmente e quattro di esse ancora oggi seminano i loro buoni frutti di speranza e di apostolato.
Presso l’Archivio di Stato di Napoli da un documento datato 12 marzo 1888, si rileva che esistevano intorno alla metà del 1500, due Confraternite in Sant’Eustachio, rispettivamente del SS. Sacramento e SS. Rosario, di natura laicale.
Dal testamento di Romano Rubino del 27 maggio 1554, del casale Cornea, (Notaio Felice D’Alessio 1553/1580 – fasc. 3250/3255) si legge che lo stesso in letto giacente ed in corpore languente, raccomanda ai figli di dare alla Confraternita del SS. Sacramento di S. Eustachio, di cui è fratello, della cera e delle candele ed 1 carlino, mentre a lui si deve l’estrema unzione, il patenaggio, la sepoltura e la messa.
Da una bolla del Vescovo di Acerno del 6 ottobre 1591, risulta riconosciuta nella stessa località un’altra Confraternita sotto il titolo del SS. Corpo di Cristo sin dal 9 maggio 1559.
Le due confraternite operavano su un territorio composto da tre frazioni ( Molenadi, Cornea e Ferrari ) con una popolazione di circa 1200 abitanti e seppure operassero su binari paralleli e con il controllo della stessa autorità religiosa, avevano ingaggiato sotto sotto una sana competizione per l’accaparramento degli iscritti, e su questo influiva l’importanza della o delle famiglie dominanti, il lustro ed il decoro dei personaggi più rappresentativi, lo sfarzo delle cerimonie religiose, l’autodisciplina e la presenza assidua nei momenti liturgici forti.
Quindi, da quanto sopra esposto, originariamente le Confraternite in Sant’Eustachio erano due e soltanto da un decreto emesso dal Regio Tribunale Misto del 3 luglio 1766, troviamo le due Confraternite unite con una diversa denominazione che è quella attuale: Corpo di Cristo e SS. Rosario.
Le motivazioni della fusione vanno ricercate nel particolare periodo storico che favoriva l’emigrazione di molte famiglie dominanti nella Capitale del Regno ( Napoli ) e fece seguito l’inevitabile sbandamento dei fratelli iscritti che, addirittura, nel 1774, per mancanza di essi, ne determinarono la soppressione. Fu l’ostinata energia del Priore dell’epoca Nunziante De Filitto che mantenne in vita giuridicamente la Confraternita tra mille sacrifici anche nel periodo delle leggi eversive del 1806 ed essa sopravvisse con alterne vicende e con un sempre fluttuante numero di iscritti che non fu mai stabile e costante.
Il 29 maggio 1881, grazie all’impegno di due illustri concittadini, il prof. Giuseppe Avallone ed il Parroco Raffaele Nicastro, le funzioni ripresero in pieno e il 4 settembre dello stesso anno venne approvato lo Statuto, integrato da un’altra delibera del 1930.
Sin da allora, nonostante le avversità del II conflitto mondiale e la difficile ripresa economica, la Confraternita ha avuto una costante continuità, diretta amorevolmente con competenza e saggezza da tutte le amministrazioni citate nella pubblicazione del 1992 che saranno integrate prossimamente e di cui faremo veloce cenno dei soli priori. Ogni fratello meriterebbe una citazione a parte per il proprio operato effettuato con impegno e grande abnegazione, ma sarebbe un’impresa molto ardua. Ci limitiamo anche per particolare volere dell’attuale amministrazione ad onorare la memoria di chi ci ha lasciato e di chi si è tanto distinto per il prestigio e il decoro del sodalizio. Dal 1 luglio 1980 la Confraternita si riunisce in una propria sede ubicata a sinistra della Chiesa nella bella piazzetta di Sant’Eustachio.
ORIGINE E STORIA DELLA CONFRATERNITA S.ROCCO
Nel Duomo dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, nella navata di destra, prima del transetto, esisteva un altare dedicato alla Confraternita del SS. Rosario fondato nel 1274 ( epoca di fondazione della Chiesa) restaurato nel 1960. Nell’Archivio di Stato di Napoli, un documento datato 12 marzo 1888, riferisce che le Confraternite nella suddetta Chiesa erano due: una del Rosario ed una del Sacramento. Le Confraternite del Rosario cominciarono a sorgere sin dal 1215, con la fondazione dell’ordine domenicano, una leggenda, infatti, narra che la Madonna, apparendo a San Domenico, gli indicò la recita del Rosario come arma straordinaria per combattere l’eresia degli Albigesi.La fondazione delle Confraternite del Rosario cominciò ad avere larga diffusione sin dal 1250, il che coincide con la data della fondazione della nostra Confraternita, mentre l’altra, quella del Sacramento, si collega alla fondazione delle Confraternite del Sacramento in Italia solo dal 1538 con il domenicano Tommaso Stella a Roma e le bolle papali della loro approvazione iniziarono dal 1539. E fu fondata intorno al 1550 come evidenziato nel testamento di Robinia Denza del 21 maggio 1555 del casale Ferrari ed in altri testamenti del 1558 e del 1574. La Confraternita del Sacramento scomparve verso la fine del XVIII secolo evidentemente per mancanza di rendite e di adesioni. Nel 1700, per la precisione dopo il 1749, la Confraternita del Rosario si trasferì nella vicina Chiesa di San Rocco. Il 31 marzo 1762, con la favorevole relazione del Cappellano maggiore della Camera di Santa Chiara in Napoli, si ottiene il Regio Assenso sulla fondazione. Il 17 febbraio 1777, da una relazione degli amministratori dell’Università di Montecorvino, si evince chiaramente che era funzionante sul territorio la sola Confraternita del Rosario agli ordini del Priore il Magnifico Domenico Del Vaglio. Dal 1789, anno fatidico per la storia europea, ha inizio una lunga diatriba tra le Confraternite esistenti sul territorio ( Addolorata e San Filippo Neri e Corpo di Cristo ) circa la precedenza da tenere nelle processioni solenni. La disputa coinvolse l’Arcivescovo di Salerno e si ebbe inizio ad una folta documentazione e corrispondenza tra le parti. Proprio grazie a questa documentazione e corrispondenza, è stato possibile ricostruire le vicende storiche dei vari sodalizi. Nel 1819, la Confraternita del Rosario fu autorizzata ad iscrivere nei propri Registri i fedeli di Olevano, venendo meno il Monastero di San Domenico, soppresso per le leggi eversive. Nel 1859 i Confratelli, con una solenne cerimonia, che ebbe vasta risonanza nell’intero Regno, celebrarono i funerali del defunto Re di Napoli Ferdinando II di Borbone. Nel 1868, l’Arcivescovo di Salerno, Antonio Salomone, intervenne nella disputa sopra citata per disciplinare la precedenza nelle processioni, imponendo dal 1869 l’alternanza delle Congregazioni, pena la chiusura del sodalizio. Durante il secolo XX non ci sono state note di rilievo al di là della normale amministrazione. La prima guerra mondiale, il ventennio fascista, la seconda guerra mondiale, hanno condizionato l’andamento della Confraternita che ha risentito delle tremende conseguenze economiche e sociali di questi periodi così difficili. Ma, successivamente, grazie al contributo di persone capaci ed efficienti, il sodalizio è tornato agli antichi splendori divenendo una splendida realtà nel tessuto sociale cittadino, provinciale e nazionale.