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La Sonnambula di Montecorvino

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La Sonnambula di Montecorvino “ composto da Francesco Mastriani, ( 1819 – 1891 ), celebre scrittore napoletano, che fu ospite della famiglia Maiorini, nel Palazzo in Via Clelia, ora Via Diaz, tra l’ottobre del 1877 e gli inizi del 1878 per circa sette mesi. Il Mastriani, seppure, come sopra riferito, fosse celebre perché già autore di numerosi romanzi di successo specialmente a Napoli, versava in condizioni economiche disagiate e l’ospitalità generosa dei Maiorini lo indusse a scrivere un romanzo ambientato in Montecorvino Rovella sul Castello Nebulano nel primo decennio del 1800, quando questo era già un ammasso di rovine da circa tre secoli in un deprecabile stato di abbandono. Sempre il Mastriani, dotato di una genialità non comune, girando per Montecorvino, si informava su nomi e su possibili leggende che tradusse in racconto incastrandolo in un romanzo incompiuto di vita napoletana. ( Chi l’ha letto o ha visto la rappresentazione teatrale dei POPOLANI, può capire il riferimento). Il romanzo fu stampato nella prima versione a Napoli e poi a Montecorvino dalla Tipografia L’Unione che aveva la sede in Via Silvestro Bassi e non ebbe larga diffusione a causa dell’analfabetismo dilagante, tanto che diversi maestri elementari facevano dei veri e propri cenacoli serali con i contadini che tornavano dai campi, per raccontare il romanzo e con l’inevitabile aggiunta di qualche coloritura. Il contadino, tornato a casa, dopo aver cenato e recitato il Rosario, riuniva la famiglia intorno al focolare ed iniziava anche lui il racconto ai propri familiari che rimanevano incantati ed immaginavano per personaggi reali e realmente vissuti quelli inventati di sana pianta dal Mastriani e questa storia passò per vera. Posso garantire che in pieno duemila qualcuno cercava non i vari testi in circolazione ma “ la vera storia di Montecorvino” che era la Sonnambula. C’è da aggiungere che la trama non era poi una sola. Essa variava a seconda della memoria del narratore e dallo stato fisico e mentale in cui si trovava al momento in termini di quantità di vino bevuta. Nel 2007, la Compagnia Teatrale “ I Popolani “, rappresentò il romanzo da me reiscritto in versione teatrale e alla fine dello spettacolo si presentò una persona anziana molto nota che mi disse che era un parente del Conte Baldassarre di San Pietro, principale figura del libro.  

 

Agli inizi degli anni settanta, quando ormai da un decennio, sulla scorta delle pubblicazioni del Serfilippo e dello Iorio ( eredità del mio defunto genitore ) cercavo affannosamente di ricostruire la storia di Montecorvino Rovella e di Padre Giovanni da Montecorvino, fui accolto, come avveniva periodicamente, dallo studioso più informato in quel momento, l’avvocato Pasquale Budetta.

Durante quei piacevoli colloqui, mi fece accenno del romanzo della ” Sonnambula di Montecorvino ” e del suo autore, Francesco Mastriani, raccontandomi ,in modo molto sintetico, una simpatica storiella, dicendomi, poi, che qualora avessi voluto saperne di più, avrei dovuto recarmi presso il Barone Luigi Negri di Paternò, che abitava in Via Diaz.

In quel mese di novembre, fui ricevuto dal Barone Negri, seduto su di una poltrona damascata, accanto ad un accogliente e scoppiettante caminetto e, dopo uno stupendo   caffè servito in tazze col contorno argentato, iniziò a raccontarmi la storia del romanzo, permettendomi di fotografare il tavolinetto sul quale il Mastriani lo scrisse   ( vedi foto pag.130 della nostra pubblicazione ” Ricerche storiche su Montecorvino Rovella ” Tipolito Guidotti 1980).

In quella casa ( allora Via Clelia ), abitava un suo antenato, l’avvocato Vincenzo Maiorini ( 1818 – 1883), marito della nobildonna Maria Caterina Bassi ( dec.1879) ed il loro figlio Carmine Maiorini ( 1847 – 1919 ), medico chirurgo.

Questi frequentava settimanalmente l’ambiente napoletano, ove, nei salotti culturali, amava scambiare informazioni, sia di cultura varia, sia attinenti la sua professione.

Per la pausa pranzo, si recava in una trattoria situata in Via San Biagio dei Librai.

Nel mese di giugno del 1877, trovò seduto in un angolino della locanda ,seduto ed intento a sorseggiare un bicchiere di vino, Francesco Mastriani, già affermato scrittore, seppure afflitto da condizioni economiche precarie che la sua professione di insegnante elementare non gli consentivano di attenuare.

Il Maiorini era appena entrato, il suo abbigliamento elegante non era sfuggito all’occhio vigile del Mastriani che lo avvicinò, dicendogli : ” Mi scusi, lei non è……….tal dei tali ?” – ” No, io sono il dottor Carmine Maiorini di Montecorvino ” – ” Era appunto quello che volevo dire, replicò abilmente il Mastriani ” –                          ” Ma lei chi   è, chiese il Maiorini” – ” Sono Francesco Mastriani ” – ” Il celebre scrittore ? Vorrei tanto averla come ospite a casa mia ! “.

Detto fatto, il Mastriani accettò immediatamente e nell’ottobre di quell’anno fu ospitato in casa Maiorini , alla Via Clelia, di Montecorvino Rovella.

Lo stesso autore, nell’introduzione del romanzo, narra la sua venuta nel nostro paese.

Divinamente ospitato e attratto dalle bellezze naturali del posto , che accuratamente descrive sempre nella citata introduzione, nonché dalla squisita ospitalità della gente del luogo, trovò il modo di allungare la sua permanenza e, sfruttando la sua genialità, dopo lunghe passeggiate e colloqui con gli indigeni, decise di scrivere un romanzo.

Incastrò felicemente un romanzo incompiuto di vita napoletana con episodi di vita cittadina, creando un personaggio, il Conte Baldassarre di San Pietro, che rappresentava il suo sogno di vita.

Il romanzo fece presa nella popolazione, favorito dalla mancanza di pubblicazioni sulla storia di Montecorvino ( il Serfilippo scritto nel 1856 era già introvabile e di non facile lettura ) e dal dilagante analfabetismo, per cui fu tramandato oralmente e raccontato accanto al focolare nelle fredde serate invernali.

Il fatto strano è che, per la sua scorrevolezza e per la sua dovizia di particolari, è stato scambiato per storia vera e ciò comporta non poche difficoltà in chi si accinge a scrivere su Montecorvino Rovella e sulla sua vera storia.

La Sonnambula di Montecorvino, ribadiamo, un romanzo inventato di sana pianta, ma bello e piacevole, è soltanto una delle tante pagine delle nostre gloriose tradizioni.
 
© Nunzio di Rienzo
 
 
 
 

Altro titolo: Peppe il brigante di Sora.

 

   Fu pubblicato in appendice su:

   – Roma, 16 luglio – 11 ottobre 1881.

 

   Altre edizioni in volume:

   – Napoli, Gennaro Monte, 1906, col titolo Peppe il brigante di Sora o La sonnambula di Montecorvino.

   – Firenze, Adriano Salani, 1915, 1922, 1928.

   – Cava dei Tirreni, Palumbo-Esposito, 1972.

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Il romanzo è preceduto dalla seguente INTRODUZIONE dell’autore:

 

INTRODUZIONE

   Verso lo scorcio di ottobre dell’anno 1877 io visitai il bel paese di Montecorvino-Rovella nel Principato Citeriore.

   Non bisogna confondere questo paese con l’altro Montecorvino-Pugliano, poco discosto da quello.

   La stazione ferroviaria di Montecorvino Rovella è su la linea di Eboli, a pochi chilometri da Pontecagnano.

   Partendo da Napoli si arriva in circa tre ore alla stazione di Montecorvino-Rovella; ma per giungere nel paese bisogna fare in carrozza una salita che dura oltre un’ora.

   Il Municipio di Montecorvino-Rovella fa trovare pronta la carrozza ad ogni fermata del treno ferroviario in quella stazione; e col modicissimo nolo di 70 centesimi si ha un posto in carrozza per trarre al paese.

   Partito da Napoli col treno delle sei e un quarto del mattino arrivai alla stazione verso le dieci.

   Colà mi aspettava il compitissimo giovane dottore Carmine Majorini, la cui gentile famiglia mi offeriva cordialissima ospitalità; e con lui presi posto nella carrozza che rileva i viaggiatori che si recano a Montecorvino-Rovella.

   Ci trovammo in compagnia d’una maestrina municipale e di un prete.

   Trovatemi una diligenza postale, una carrozza da viaggio, un vagone di ferrovia od un carrozzone-tram, in cui non ci sia un prete od un frate! E per lo più sono sempre i più pingui che viaggiano!

   Se il tempo mi avanzasse e l’animo mio fosse disposto alle cose umoristiche, mi piacerebbe di descrivere i miei viaggi in terza classe per le mie tre gite settimanali ad Aversa, dove dettavo lezioni d’italiano in quel Liceo. Le curiose avventure di cui io fui testimone per lo spazio di cinque anni e che avvennero ne’carrozzoni di terza classe in quelle mie gite e ritorni formerebbero un romanzo de’ più divertevoli.

   Giungemmo nel paese alle undici e mezzo.

   Come venni accolto dalla cara famiglia Majorini e da quel fiore di gentilezza che è il signor Carlo Budetti, cognato del dottor Majorini, non dirò per tema di non dire abbastanza della squisitezza de’loro tratti.

   Tutti in quella famiglia gareggiarono in fina cortesia nel procurare che di nulla difettasse la geniale ospitalità offertami e che dilettoso mi riuscisse il mio breve soggiorno il quel ridente e pittoresco paese.

   E ne’pochi giorni della mia dimora colà ebbi a sperimentare la gentilezza e la bontà di que’nativi del paese, gente cordialissima per quanto sincera e colta.

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   Montecorvino è alla distanza di circa 15 miglia da Salerno; ed è il capoluogo del circondario: ha ad oriente l’antico fiume Tusciano, oggi Battipaglia, e ad occidente il fiume Picentino o Cagnano, donde piglia nome di Pontecagnano la stazione ferroviaria che precede immediatamente quella di Montecorvino venendo da Napoli.

   È situato a semicerchio alle falde di un monte che domina la vasta pianura di Salerno, di Eboli, e delle antiche città picentine Sibari e Pesto.

   È diviso in due così detti ripartimenti, Montecorvino-Rovella e Montecorvino-Pugliano.

   Rovella è circondato da’paeselli o casali Castiuli, Occiano, Martorano, Gauro, Marangi, Chiarelli, Votraci, Molinadi, Cornea, Ferrari, Nugola, S.Martino.

   Ricchi di rigogliosi oliveti sono que’colli i quali, in certi punti riesono così pittoreschi per ridenti vallette, per sussurranti cascate di limpide acque, per frastagli di ombrosi poggi di lussureggiante verdura, h’io ne trassi così grata impressione che mi pareva di stare nel mezzo delle romanzesche vallate della Svizzera.

   A breve distanza l’uno dall’altro sorgono sul pendio del monte que’tanti paeselli, in cui sì modesta ad un tempo e dolce è la vita, dove l’animo si riconforta a sereni pensieri, e dove ogni tempestosa passione si assopisce, per così dire, in quella placidezza e calma di natura.

   Ricorderò sempre di aver passate dilettosissime ore in quelle lunghe passeggiate da me fatte in compagnia della cara famiglia Majorini su per quella incantata collina dov’è la chiesa con l’annesso convento de’Cappuccini.

   Noi altri napolitani, abitanti di popolosa e romorosa città, storditi da mane a sera dallo incessante e indecente baccano delle nostre strade, in cui lo schiamazzo, i gridi e i canti si protraggono fino a notte avanzata, noi abbiamo bisogno, assoluto bisogno, di andare di quando in quando a respirare l’aria pura de’luoghi dove non arriva la pestifera respirazione di questa noiosa e intollerabile eterna schiamazzatrice che si domanda Partenope. Abbiamo bisogno di ritrovarci nel silenzio pensoso de’colli, dove le odorose aure fuggenti ci parlino amore e Dio.

   Lungi per qualche giorno dal turbinio delle inettezze che ne circondano in una popolosa città; lungi da questo fango che è polve delle generazioni che sono passate, lungi dalla menzogna, dalla vanità, dalla ipocrisia, virtù della civiltà; lungi da questa bulima che corre ogni giorno appresso alla cartamoneta, calpestando il galateo, il codice, il vangelo e Dio; lungi da questo formicolio nauseabondo come quello de’neri insetti che tappezzano di notte le pareti di un refettorio.

   Oh com’è dolce il ritrovarsi per poco lungi dalla maschera umana!

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   Nel primo giorno della mia breve dimora in Montecorvino, ospitato in casa dello esimio avvocato Vincenzo Majorini, ebbi l’onore di essere visitato da parecchi gentiluomini del paese, de’quali ebbi a notare la squisitezza del tratto.

   Montecorvino-Rovella diede i natali a non pochi eminenti ingegni, tra i quali ricorderemo un Luca Gaurico, celebre astronomo e scrittore di dotte opere, vissuto nel secolo decimosesto, un Pomponio Gaurico, fratello di Luca, poeta, letterato ed astronomo, professore nella Università di Napoli, e maestro del celebre Ferdinando Sanseverino, principe di Salerno; e tra i contemporanei un Errico Franchini, consigliere d’Intendenza in Salerno, versatissimo nelle lingue ebraica, greca e latina ed erudito in lapidaria e numismatica; ed un Michelangelo Franchini suo nipote, che fu vescovo di Nicotera e Tropea.

   Ci piace di ricordare tra gli egregi uomini d’ingegno di Montecorvino il signor Francesco Serfilippo, autore d’una importante monografia sul suo nativo paese, dalla quale attingemmo non poche notizie per questo nostro lavoro.

   Nelle mie campestri escursioni ne’dintorni di Montecorvino volli visitare i ruderi di un antico castello che si trova sulla via che mena al comune di Pugliano.

   Questo castello era conosciuto negli antichi tempi col nome di Castrum Nubilarum ovvero Castello Nebulano, forse così addimandato perché messo, per così dire, tra le nugole, atteso la sua eminenza.

   Fu assediato nel duodecimo secolo da Guglielmo Normanno, figliuolo del duca Ruggiero; e poco tempo appresso il re Ruggiero, per vendicarsi degli abitanti di Montecorvino, i quali aveano serbato fedeltà al pontefice Innocenzo II ed al Lotario imperatore, assalì Castel Nebulano e lo demolì facendo strage de’cittadini, e saccheggiando, a mo’ de’barbari, e templi e case.

   Il Castello fu riedificato; ma, nelle guerre tra Ludovico d’Angiò e Ladislao di Durazzo, venne assalito dal conte Alberico da Barbiano, generale di Ladislao, che mise anche barbaramente a ruba il paese.

   Venne in appresso il Castel Nebulano abitato dal primo Alfonso d’Aragona, il quale in compenso de’servigi rendutigli da parecchie famiglie di quelle circostanze, concedette loro diversi titoli di nobiltà.

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   Pare che su i principii di questo secolo il Castello non fosse ancora distrutto, dacchè la storia che narreremo ebbe per teatro questa magione o qualche altra vasta abitazione attigua al Castello.

   Comunque fosse una storia commoventissima è ligata all’ultimo abitatore del Castello Nebulano o di quella magione che ne aveva ereditato il nome.

   E quest’ultimo abitatore del Castello fu il conte Baldassarre de Vittorio di San Pietro, l’ultimo che ereditò i titoli di nobiltà conferiti a’suoi antenati dal monarca aragonese.

   Mi fu narrata la storia del conte di San Pietro; e, trovatala ricca di strani avvenimenti e piena di così detto interesse drammatico fermai di farne il subietto di un mio nuovo lavoro.

   Presa questa determinazione, mi posi alla ricerca dei ragguagli che potevano completare ed arricchire il mio racconto; e da un vecchio e garbatissimo proprietario di quei dintorni, il cui padre era stato l’amministratore generale de’beni del conte, mi ebbi tutte le più minute notizie su i principali personaggi e su li strani casi della storia che mi accingo a narrare.

   Questo signore conservava il ritratto del conte Baldassarre di San Pietro e quello della giovane Rosalia, protagonista della presente istoria.

   Questi due ritratti ad olio e a dimensioni naturali mi furono di gran giovamento per la dipintura dei due personaggi.

   Su la effigie del vecchio conte ottuagenario io lessi chiaramente scolpite la dolcezza del suo temperamento e la bontà del suo cuore.

   E su quella della giovane Rosalia, era scolpito il pietoso dramma, che mi accingo a svolgere in queste pagine.

   Rosalia di Sant’Eustachio (come la chiameremo dal nome del paese o del villaggio che le die’i natali) non era bella, a giudicare dal ritratto e da quanto asseriva quel vecchio signore che l’avea conosciuta; ma era una di quelle figure che viste una volta, non si dimenticano più.

   Ci era in quel sembiante qualche cosa, direi, di soprannaturale. I suoi occhi neri e profondi, scavati, per così dire, nell’anima, parea che ti narrassero i misteri della seconda vita.

   I vecchi ricordavano di questa Rosalia di Sant’Eustachio; e la chiamavano la Sonnambula di Montecorvino ovvero la folle di Castel Nebulano.

  Di queste due denominazioni sapremo le ragioni in appresso.

   Ed ora, senz’altri preliminari, noi porremo sotto gli occhi de’nostri lettori i personaggi di questa singolarissima storia, che narreremo con que’coloriti onde ci venne raccontata da’vecchi paesani di Montecorvino e di Pugliano

http://www.francescomastriani.it/

 

 

 

Palazzo Gentile II parte

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Presso l’archivio della famiglia Curci è conservato un atto notarile datato 28 dicembre 1869, rogato in Montecorvino Rovella dal notaio Nicola Maiorino di Filippo. In questo documento viene precisata la divisione ereditaria dei beni appartenuti alla famiglia Gentile, tra i quali la casa palazziata sita nella piazza di Montecorvino.
 
“Con istrumento del 24 maggio 1808” veniva effettuata la divisione fra tutti i figli ed eredi del sig. Francesco Gentile, padre della sig.ra Maria Gentile, alla quale per intera quota veniva attribuita “parte del giardino e del comprensorio di casa palazziata sita nella pubblica piazza del capoluogo Rovella”, un’altra quota alla sig.ra ortensia Gentile e altra ancora al Magnifico Crescenzo Gentile.
 
Con il matrimonio tra il Magnifico dott. fisico Michele Curci e Maria Gentile, la casa veniva a costituire un cespite nunziale. Successivamente il detto Michele Curci acquistava la quota assegnata alla sig.ra Ortensia Gentile e provvedeva a ristrutturare il caseggiato per migliorarne la struttura. Nello stesso anno veniva ordinata una stima della casa palazziata con annesso giardino, il valore risultante era di ducati 1875,82.
 
Avv. Corrado Curci
 
 

Padre Emanuele D’Arminio, ofm

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Nasce a Montecorvino Rovella (Sa), alla frazione Nuvola, al battesimo Pasquale da Giuseppe D’Arminio e Anna Coralluzzo il 30 marzo 1906; quartogenito della numerosa famiglia. Il primo fratello premorto Pasquale come il nonno Pasquale D’Arminio, Amedeo, Alfredo e le sorelle Maria, Iolanda, Ettorina e Norina.

E’ battezzato nella chiesa parrocchiale S. Nicola in Nuvola il 1° aprile 1906 dal parroco Don Pasquale Pizzuti; cresimato dall’arcivescovo di Salerno Mons. Grasso il 1920.

Della parrocchia san Nicola P. Emanuele dice: << e proprio in questa chiesetta dove io ho cominciato la mia vita di cristiano, dove ho passato i miei primi anni di fanciullezza, dove ho ricevuto i primi insegnamenti religiosi, dove, dietro la cura del buono e zelante Parroco, ho cominciato a gustare la dolcezza della vita dello spirito per poi finalmente spiccare il volo per la vita del Chiostro”.

La vocazione sacerdotale nella famiglia religiosa francescana gli fu chiara da subito, quanto ripeteva con fermezza in famiglia che voleva farsi frate e non prete “monoco sì e preuto no”, certamente, attratto dai frati del vicino Convento di S. Maria della Pace poco distante da Nuvola.

La sequela di Cristo nella famiglia del Poverello di Assisi, lo condusse nell’Antica Provincia Riformata di Principato, detta Provincia Napoletana S. Maria di Materdomini (1582 – 1942) e compiuto il corso del ginnasio inferiore nel Collegio Serafico di Baronissi, ebbe il saio francescano l’8 dicembre 1922 presso l’eremo di Fontecolombo (Rieti), con il nome di fra Emanuele, dal delegato provinciale alla vestizione P. Alfonso Liburdi, Guardiano della casa di noviziato della Provincia Romana San Michele Arcangelo; ebbe come Maestro dei novizi il P. Giovanni Troili e nella Fraternità c’era anche il P. Giuseppe Spoletini, uomo di santa vita poi Servo di Dio. Terminato il noviziato, lo stesso P. Alfonso Licurdi, su delega del P. Placido Graziano, Ministro provinciale della Provincia napoletana di Materdomini, lo ammette alla professione temporanea il 18 dicembre 1923.

Rientrato in Provincia, dopo l’anno di noviziato, prosegue gli studi di ginnasio superiore, di liceo e di teologia nel convento S. Francesco a Quisisana di Castellamare di Stabia, ove emette la professione solenne il 1° agosto 1929, nelle mani del Ministro provinciale P. Leonardo Ferrentino, ed è ordinato sacerdote nella cattedrale di Castellamare di Stabia dal Vescovo Pasquale Ragosta il 15 agosto 1930.

Ordinato sacerdote, inizia a operare nell’ambito formativo: è Maestro di disciplina nel collegio di Baronissi (1930-32); e sempre a Baronissi, Maestro dei chierici (1932-37) e Guardiano (1937-1942); Lettore a Baronissi (1930-42). Fu organista e Direttore della schola cantorum (1930-42) a Baronissi.

Nel Settembre del 1935, infatti, aveva conseguito il Lettorato provinciale nello studium di Castellammare di Stabia (“Lectorem Provincialem Litteraturae patriae, latinae et graecae” , “cum laude”) dinanzi a una commissione nominata dal Ministro generale, P. Leonardo Bello. E’ stato anche Vice Commissario provinciale per il Terz’Ordine Francescano (1934-37).

Dopo la fusione delle sei province minoritiche campane nelle tre attuali, con “motu proprio” del Papa Pio XII, il 14 luglio 1942: Napoletana del SS. Cuore di Gesù, Sannita-Irpina di S. Maria delle Grazie e Salernitano-Lucana dell’Immacolata Concezione, P. Emanuele, stimato per le sue qualità, dai superiori della nuova Provincia fu nominato Guardiano, Rettore e lettore del Collegio Serafico di Vico Equense (1942-45).

Nel 1945 è trasferito a Capaccio ove è vicario, discreto, organista e cronista e organizza un corso di lezioni private per gli alunni di Capaccio; a Capaccio rimane fino al 1956. Nella scuola statale di Avviamento professionale di Capaccio è docente di Religione (1947-50).

Nell’agosto 1956 è eletto Guardiano di Montecorvino Rovella, confermato nel 1959 per un secondo triennio; nel 1962 rimane a Montecorvino non più Guardiano , ma Vicario e organista. Per qualche tempo è anche Parroco della parrocchia San Nicola di Nuvola.

Nell’agosto 1965 è eletto Guardiano e Rettore del preseminario a Bracigliano; nel 1965 è ancora a Bracigliano, come organista. Nel novembre 1968 ritorna a Montecorvino Rovella, come organista e Commissario zonale TOF delle Valli dell’Irno e del Picentino e Assistente del TOF di Acerno. Montecorvino è la sua ultima residenza.

Organista e cantore, in tutti i conventi in cui è stato di famiglia organizza la schola cantorum, suscitando nei giovani l’interesse per la musica e il canto. Nella chiesa di S. Maria della Pace di Montecorvino Rovella, si adopera per dotare la chiesa di un pregevole organo a canne donato dall’industriale di laterizi Pasquale Mazzarella.

Nella sua multiforme attività fu anche saggio direttore delle coscienze, efficace predicatore della parola di Dio e benemerito insegnante di italiano e latino ai giovani poveri e bisognosi.

Affetto da grave malattia, insufficienza renale, è ricoverato più volte a Mercato San Severino, a Pisa e ad Agropoli. Muore nell’ospedale di Agropoli, ove tre volte a settimana si recava per la dialisi dalla casa della sorella Ettorina a Battipaglia, il 23 settembre 1976, lasciando in quanti lo stimarono e amarono un largo rimpianto.

 

FAMIGLIA BASSI DI MONTECORVINO ROVELLA

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Questo ramo della famiglia Bassi/ Basso esistente in Montecorvino Rovella, discende da Giovanni Basso, notaio di Albissola ( Savona ), Capitano delle armate del Marchese di Monferrato, ammesso tra i nobili di Baldacchino di Casale, si unì in matrimonio con Luchina della Rovere, sorella del Papa Sisto IV e zia del Papa Giulio II.
 
Questo matrimonio aumentò fortemente le fortune del casato, i cui esponenti, durante il Rinascimento, occuparono importanti cariche nelle magistrature militari, presso Regni e Signorie esistenti in quasi tutta Italia.
Il Casato fu ascritto nei nobili del Seggio Napoletano del sedile di Portanova e fu annoverata tra le famiglie nobili di Monte Sant’Angelo e Giffoni Valle Piana, dove la troviamo presente e molto fiorente nel 1500.
 
Non sappiamo la data di trasferimento a Montecorvino Rovella, ma di sicuro non era ancora presente nel 1500 ,quando Alfonso di Aragona, re di Napoli, nel 1494, insignì del titolo nobiliare 23 famiglie montecorvinesi e tra esse non compare la famiglia Bassi/Basso.
La sua diffusione nel paese si ebbe nel 1600, tra il Capoluogo Rovella ( Bassi ) la frazione Chiarelli e le frazioni di San Martino e località Incassata ( Basso). I Bassi si estesero anche nella frazione Ferrari ( dove c’è ancora il palazzo gentilizio con lo stemma) e la frazione Molenadi.
 
Dai libri battesimali e stato delle anime della Chiesa dello Spirito Santo nella frazione San Martino, si trova la prima traccia di un atto di morte di Basso Stefano del 10.6.1652.
Nei libri battesimali della Chiesa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo del Capoluogo si trovano molti Bassi, ma è difficile individuarne il ramo o la collocazione nel paese poiché era vasto il territorio cittadino che faceva capo a tale parrocchia.
 
NUNZIO DI RIENZO
 
 
 

ENRICO CORRADO

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ENRICO CORRADO

Nato a Montecorvino Rovella il 1 giugno 1864 dalla nobile famiglia Corrado, fu pittore, scultore ed architetto. Grande decoratore. Tra le sue opere : La casa della Compagnia di Panama, l’Università di Caracas con decorazioni, le decorazioni al Metropolitan di New York, il Colon di Buenos Aires, il Ponte sul Fiume Orinoco, le decorazioni dell’Aula Magna dell’Università di Napoli e numerose opere, tra quadri ed affreschi , tuttora esistenti sul territorio Montecorvinese. Fu definito il pintore dei fiori e degli Angeli. Morì a Firenze il 26 febbraio 1956.
 
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S. Marco de Castro

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S. Marco de Castro
Fra i due valloni di S. Marco é posta una collinetta che per le sue caratteristiche morfologiche ben si adatta alla costruzione di una piccola rocca normanna.
Sulla sua sommità, nella prima fase del periodo normanno venne costruito un piccolo borgo fortificato, costituito dalla casa del milites, dalla chiesa di S. Marco e da depositi agricoli. Tra il piccolo borgo e la sottostante via pubblica vi era una via vicinale lungo la quale erano poste alcune case in legno dei contadini dipendenti.

Il nuovo assetto del potere feudale consentì l’emergere di nuove famiglie legate all’Arcivescovo di Salerno, le quali erano parte integrante del nuovo tessuto sociale castrense. Una di queste erano i coniugi Giffoni e Benenata i quali negli anni trenta del XIII secolo ricevono dal nuovo signore del feudo, ad laborandum una terra con vigna, olivi, vacuo e altri alberi fruttiferi, con casa dentro, in parte diruta, e palmento, sita e posta nel casale di S. Martino. Alla morte di Gifoni, la vedova, nell’ottobre del 1238 (5), si reca ad Olevano, dove, alla presenza dell’Arcivescovo Cesario, riceve dall’abate Luca Saponario, procuratore della Chiesa di Salerno, la terra con casa dentro, posseduta in precedenza, con gli stessi oneri ed obblighi di conduzione presenti nel primo contratto . A garanzia di Benenata compare Matteo de Basile de Castro Montecorvino, il quale si impegna a far adempiere tutto quello contenuto nella stipula. La nostra Benenata, pur avendo diversi obblighi, fra cui la consegna annuale di parte del vino e dei frutti ricavati dal fondo, é una donna libera, in grado di sottoscrivere qualsiasi atto necessario alla sua famiglia e, sopra tutto, ha la possibilità di poter vivere nella sua casa di S. Marco.

Molti storici hanno posizionato erroneamente la chiesa presso l’attuale convento della Misericordia. Essa invece era sita all’interno di un oliveto appartenente nel 1729 alla chiesa di S. Pietro: <<Item un oliveto grande di piedi di olivi n. 248 e piantoni n. 5, posto da sopra Nuvola, confinante da settentrione col vallone che cala da Castello per dietro la chiesa di San Marco, da oriente il sudetto oliveto del Capitolo e i beni dotali della Signora Antonia Longobardi, ove tira un lemitone con mortelle, da mezzogiorno con i beni del Sign. Tesoriere Denza e da ponente un vallone sicco che scende da Castello e vi appare un fosso. Avvertemo che circa la chiesa diruta di San Marco, tutto il territorio che vi sta vacuo é del Reverendo Capitolo>>.

 
 

Cappella dei Sette Dolori di Occiano

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Poco fuori Occiano, lungo la strada che conduce a Castello, al disotto di una parete rocciosa vi sono i resti di una chiesetta settecentesca intitolata alla Madonna della Pietà.
La cappella fu edificata nel mese di agosto del 1703 dagli abitanti di Occiano nella località detta la Vena. Fornita di un semplice altare, venne successivamente dipinta sulla parete sita dietro l’altarino l’immagine della Madonna affiancata da due santi.
 
Durante il settecento i cittadini di Occiano fornirono il denaro necessario al culto e al mantenimento dell’edificio. Purtroppo la sua infelice posizione, rese la struttura sempre più decadente tanto che nel 1791, il parroco d. Donato Graziulo, fu costretto a chiuderla e celebrare le messe nella chiesa di Santa Maria Assunta.